lunedì 2 marzo 2009

Pecora Nera N°5


Ecco a voi il numero 5 di Pecora Nera, secondo me molto ben riuscito. Il tema portante è il precariato, ne venie analizzata la sua influenza nel nostro futuro, viene analizzata il suo evolversi negli anni, viene analizzato il rapporto degli stessi precari con gli studenti. Inoltre come promesso compare un articolo sui desaparecidos, uno sui gruppi subalterni e infine uno interessantissimo sulla cooperazione Italia-Libia.
La vignetta di questo numero anticipa in parte quale sarà uno dei temi forti della prossima uscita: il nucleare!
Vi lascio con l'editoriale che dà il la a questo giornale:


Precari per volere di chi?

“Con il termine precariato si intende, generalmente, la condizione di quelle persone che vivono, involontariamente, in una situazione lavorativa che rileva, contemporaneamente, due fattori di insicurezza: mancanza di continuità del rapporto di lavoro e mancanza di un reddito adeguato su cui poter contare per pianificare la propria vita presente e futura; con questo termine si intende fare altresì riferimento al cosiddetto lavoro nero e al fenomeno degenerativo dei contratti c.d. flessibili.”

Internet può offrirci, come si può vedere, una descrizione nuda e cruda del precariato e delle sue correlazioni. Ma com’è che si è arrivati a quei due “fattori di insicurezza” e ai fenomeni dilaganti di “lavoro nero” e contratti “flessibili”? Occorre fare una panoramica generale del “perché” e del “per come”. Torniamo indietro di una-due generazioni, ovvero fondamentalmente a quella dei nati negli anni 60-70. In quel periodo si assisteva infatti ad una generale espansione di un capitalismo in crescita che apriva la porte a nuovi diritti per le masse di lavoratori e di sfruttati che scendevano in piazza e occupavano le fabbriche per ottenerli (perché ovviamente non gli vennero regalati ma furono loro stessi a conquistarli con le lotte). Si parla fra gli altri di diritti sindacali, diritto allo studio per i propri figli, diritto ad un lavoro a tempo indeterminato, ecc. Ora, va precisato che forme di precariato più o meno simili a quelle odierne sono sempre esistite nel sistema capitalista. Detto questo, è a partire da quando il capitalismo odierno entrava in stato comatoso che la situazione cambiava drasticamente e il lavoro precario entrava nella norma. Negli anni 90 scendeva in campo l’Unione Europea figlia della Comunità Europea e i governi nazionali (in preda ad una sbornia liberista) varavano le cosiddette leggi precarizzanti, utili appunto ad un capitalismo in difficoltà e bisognoso di carne da macello per il mercato del lavoro. Non è affatto un caso che nello stesso periodo si iniziasse a minare, oltre al diritto al lavoro, il diritto allo studio, con politiche di progressiva e crescente privatizzazione delle università, aiuti alle scuole private, forte svalorizzazione dei titoli di studio: politiche che oggi stanno, come putroppo ben sappiamo, toccando il loro culmine. La precarietà e il futuro incerto che ci vogliono imporre non è, insomma, frutto del caso o della mente criminale di pochi liberisti: è una soluzione che non è una “distorsione” del capitalismo, ma che è figlia legittima del capitalismo e della sua logica di sfruttamento selvaggio e spietato; è la soluzione che i padroni ed i governi a loro fedeli hanno trovato per restare a galla e far restare a galla il sistema. Sono loro e soltanto loro i responsabili della crisi del (loro) sistema economico e della precarietà che porta con sé, sono loro e soltanto loro che devono pagarla, questa crisi. Dobbiamo capire in quanto studenti e futuri lavoratori (verosimilmente precari) chi sta dalla nostra parte e chi no, chi ci vuole sfruttati a vita e con chi possiamo batterci perché lo sfruttamento diventi un ricordo. La risposta non sta ovviamente in una sterile e stupida lotta generazionale contro i nostri padri: loro hanno conquistato dei diritti ma a loro volta se li sono visti togliere o calpestare. Le proteste degli scorsi mesi hanno già indicato la strada: i nostri alleati naturali, se vogliamo veramente che le cose cambino, sono i lavoratori salariati (precari e non) ma anche le masse popolari, i pensionati, gli immigrati... Chiunque insomma sia in un modo o nell’altro reso “precario” da un sistema socio-economico inumano perché inadatto alle esigenze della stragrande maggioranza dell’umanità.


Scarica il Numero 5

Nessun commento:

Posta un commento