venerdì 6 marzo 2009

Ni olvido ni perdón... Nunca más...

Ecco a voi l'articolo già preannunciato sui desaparecidos. Vi anticipo che questa storiella nel prossimo numero avrà un seguito...a voi:

Una storiella
Oggi vi vorrei raccontare una storia. Ci troviamo nella fine degli anni ’70 in Argentina, più precisamente nel 1976, Isabel Peròn, la terza moglie di Juan Domingo Peròn, è la presidente di questa repubblica. L’incertezza economica del paese e l’instabilità politica che dominava la realtà portarono ad un colpo di Stato da parte dei militari, per cercare di ripristinare gli equilibri. Quando c’era la democrazia, in Argentina, gli attivisti politici, ritenuti comunisti, venivano perseguitati da vere e proprie organizzazioni paramilitari, la “triple A” (Allenaza Anticomunista Argentina), che cercava di mantenere l’ordine con omicidi e sequestri, in quanto gli oppositori dovevano essere puniti. Con l’arrivo dei militari, però, la situazione sfuggì di mano.
Gli attivisti politici scomparsero, come...dove...perchè...sono domande che allora non erano consentite. La storia che vi voglio raccontare non ha un vero e proprio protagonista, ne ha almeno trentamila. Trentamila persone accomunate da una stessa sorte, l’essere scomparsi nel nulla. Per i militari la strategia era semplice. Arrivavano nel cuore della notte a casa di chi fosse sospettato di opposizione verso il regime, parcheggiavano il ford falcon verde senza targa all’ingresso della casa e sfondando la porta, entravano. Cosa succedesse dentro la casa era meglio non chiederselo. Il sospetto attivista veniva arrestato e portato via per “accertamenti”, la sua casa veniva messa sottosopra con lo scopo di trovare qualunque cosa fosse utile per scovare altri oppositori, le agende e le rubriche erano molto gettonate dai militari. Una volta arrivati in posti segreti, gli arrestati, erano incappucciati, affinché non capissero dove si trovassero, erano circondati da una realtà simile a quella di veri e propri campi di concentramento, campi di prigionia. Celle isolate per permettere all’oppositore di avere tutto il tempo necessario per soffrire in solitudine. La tortura, attraverso la “picana” (cioè la tortura con la corrente elettrica), era la pratica più diffusa affinchè confessassero, così il regime poteva avere informazioni su chi altro perseguitare o sulle intenzioni di questi “pericolosissimi criminali” (per la maggior parte ragazze e ragazzi poco più che ventenni, studenti universitari, sostanzialmente gente come chi legge o chi scrive un articolo come questo).
Il trattamento previsto per i carcerati non prevedeva deroghe, uomini e donne, indistintamente venivano torturati pesantemente. Una particolare attenzione era prevista per le ragazze, che non solo venivano stuprate ripetutamente ma, se già in stato di gravidanza, venivano fatte partorire per poi privarle del frutto della loro stessa vita e, il piccolo innocente, veniva consegnato nelle mani di altri militari che non potevano avere figli. La storiella logicamente continua, che fine hanno fatto queste persone? Se parliamo di persone ci concentriamo solamente nei detenuti, perchè quei militari, di certo, persone non erano, ma mostri e forse questa definizione non basta. I detenuti, poi, venivano sedati e bendati, fatti salire su aerei delle forze armate e, una volta raggiunta destinazione Rio de la Plata o Oceano Atlantico, buttati giù con dei pesi o con il ventre squarciato, per non rischiare che tornassero a galla. Come ogni storia anche questa ha una morale, trentamila desaparecidos, oltre 500 figli di desaparecidos affidati ai militari e oltre due milioni di persone scappate in esilio. L’incredibile lavoro delle Madri di questi giovani, le Madres de Plaza de Mayo, può scatenare solo ammirazione e a sua volta rabbia per i crimini atroci che hanno subito, ma questa è un’altra storia.
Ni olvido ni perdón...
Nunca más...

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